Ogni comunità stabilisce una soglia utile alla comunicazione.
Essa ne rappresenta l’orizzonte culturale più caratteristico, l’indicatore medio delle abitudini linguistiche e concettuali collettive. Al tempo stesso, essa diventa il luogo verso il quale tendono, più o meno consciamente e con modalità diverse, gli individui facenti parte della comunità, allo scopo di comunicare.
Se provassimo a rappresentarci questo fenomeno, potremmo immaginare un foglio bianco tagliato in due parti da una linea orizzontale: il foglio con i suoi confini rappresenta il territorio possibile della comunicazione, storicamente definito; la linea che lo taglia è la soglia, l’orizzonte culturale medio.
Più ci si avvicina alla soglia, più ci si approssima alle abitudini collettive; al di sotto e al di sopra di essa si prende distanza dalla normalità comunicativa, entrando in un territorio di ricerca tipico di un certo atteggiamento artistico, dove hanno dimora le profezie e le attitudini storicamente anomale. Talvolta, chi abita questo territorio rischia l’inefficacia dei messaggi, seppur quell’allontanamento dalla soglia possa scaturire da una scelta critica e consapevole nei confronti delle abitudini di massa.
Se dunque esiste un orizzonte culturale che caratterizza ogni comunità, quali sono gli elementi che definiscono questa soglia e la sua collocazione, tracciando di conseguenza un territorio ad essa estraneo?
Si tratta di elementi epocali, storicamente definiti, diversi (per quanto in relazione fra loro) nei vari ambiti di competenza della comunicazione (comunicazione scientifica, artistica, massmediologica, etc.). Noi ci occupiamo qui del solo coté artistico, pur consapevoli dell’interazione fra i diversi ambiti comunicativi.
Per giungere ad una definizione della soglia e dei parametri che contribuiscono alla sua attuale collocazione, prendiamo spunto dalle sei proposte per il nuovo millennio, formulate da un autore che molto ha ragionato sulla definizione della contemporaneità artistica: citeremo Italo Calvino e le sue “Lezioni Americane”, valutandone i contenuti attraverso una lettura personale e una libera reinterpretazione del testo, sfruttandolo cioé come spunto introduttivo per il nostro tema.
Calvino suggerisce un elenco di valori da salvare per il nuovo millennio. Tra essi:
– la visibilità; quella facoltà dell’intelletto utile a costruire un immaginario personale forte e convincente
– la rapidità; o per meglio dire, la rapidità mentale, qualità che non è misurabile, e vale per sè indipendentemente dal risultato. “Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato, ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza”, dice Calvino.
– la molteplicità, il mondo come ‘sistema di sistemi’. “Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti”.
A vent’anni dalla redazione di quel testo, sorprende come i valori da salvare elencati da Calvino siano effettivamente diventati elementi caratteristici della cultura contemporanea. Visibilità, rapidità, molteplice quantità di messaggi, descrivono il paradigma della comunicazione massmediologica, così come si è sviluppata in questi ultimi anni.
Nel tentativo di individuare quella soglia che caratterizza l’orizzonte culturale contemporaneo, possiamo aggiungere ai punti descritti da Calvino le qualità della semplificazione e dell’intelligibilità. In un contesto comunicativo rapido, molteplice e manifesto, appare infatti utile ed inevitabile un’operazione di semplificazione dei messaggi, in modo da renderli intelligibili.
Ora, considerando la soglia come elemento storicamente dato e variabile, dove si colloca la comunicazione artistica?
O meglio (formulando la questione con una domanda più utile alla sensibilità artistica): come produrre un’esperienza estetica intensa, considerando ed anzi sfruttando queste premesse?
E più precisamente, che posto occupa l’esperienza estetica musicale in una contemporaneità così descritta?
La ricerca musicale ed i suoi secolari metodi d’indagine, tutt’ora per lo più validi e in uso (riflessione, lentezza evolutiva, profondità d’indagine), sembrerebbero infatti inefficaci se messi in relazione al contesto descritto. La musica, cioè, rischia di produrre un’esperienza estetica inattuale, storicamente insufficiente.
Si tratta dunque di riconsiderare quegli stessi valori del millennio, suggeriti da Calvino, integrandoli nell’esperienza musicale e nei metodi di ricerca che le sono propri, in modo da agire sul prodotto finale. In altri termini non siamo affatto costretti ad abbandonare la profondità d’indagine, nè il percorso riflessivo che genera un rischio poichè tende a guidarci nel territorio della profezia e dell’incomunicabilità. La relazione con la contemporaneità ci chiede semmai di ricostruire un’intensità dell’esperienza estetica, di operare in modo che la ricerca sul linguaggio non generi un risultato musicale debole: essa ci guida cioè a riflettere sul prodotto, sullo scopo.
Questa è dunque la domanda principale di questo breve scritto, riformulata in modo più deciso: come possiamo operare per mantenere l’intensità e l’efficacia dell’esperienza musicale in relazione al contesto odierno?
Alla luce delle osservazioni precedenti, tre sono le attitudini possibili che vogliamo indicare:
1) Autonomia del pensiero e dell’azione.
La via della soggettività che ha caratterizzato la produzione musicale del novecento va ora percorsa fino in fondo, in modo da raggiungere un eccesso di soggettivazione attraverso un percorso nelle viscere del sè, nell’originalità dell’io. L’io infatti, per propria natura è nascostamente e inevitabilmente eccentrico (qualità da non confondersi con l’eccentricità apparente).
La richiesta di autonomia ci suggerisce anche che nessuna accademia, una volta che ci abbia offerto i mezzi tecnici necessari, può indicarci la strada. Nessuna imposizione esterna è in grado di suggerire la via per l’intensità.
L’intensità estetica dimora nell’io.
2) Individuazione di uno stile come poetica dell’eccesso.
La definizione di mezzi tecnico-poetici, la mediazione fra la propria pulsione biologica e le questioni tecnico-oggettive, la visibilità e l’intelligibilità dei termini linguistici utilizzati, ed infine l’eccessivazione degli stessi: tutto ciò appare necessario per un riavvicinamento alla sensibilità estetica contemporanea.
In altri termini, la riconoscibilità del singolo e della sua differenza, l’originalità che abita nei percorsi di ricerca del sè, la paradigmazione di questi percorsi, sono gli apriori per l’intensità dell’esperienza estetica.
E per sciogliere un possibile malinteso sull’individuazione dello stile, dobbiamo aggiungere che la riconoscibilità non nasce necessariamente dalla riunificazione dei termini e dei modi compositivi in una unica soluzione, ma tiene conto della molteplicità possibile degli stili, ognuno dei quali eccessivo.
Infatti la terza attitudine che ci preme descrivere affronta anche quest’ultimo argomento.
3) Apertura verso l’esterno e abbandono di una ideologia apriori.
All’inizio del 19esimo secolo, in presenza di un linguaggio musicale condiviso e di un orizzonte culturale codificato e privilegiato, ad alcuni nobili mecenati viennesi apparve possibile definire L.v. Beethoven “il più grande compositore vivente”; in quanto tale, sembrò loro giusto e utile aiutarlo a mantenersi in vita.
Oggi non avrebbe più senso considerare un singolo percorso compositivo assolutamente più valido di altri, poichè a parità di capacità tecniche e di presa di coscienza della contemporaneità, a parità di ricchezza dell’immaginario e dell’io, qualunque scelta tecnica, qualunque espressione musicale offre potenzialmente la qualità dell’intensità.
Non ci troviamo più di fronte ad un percorso tecnico-poetico obbligatorio, nè ad una scelta ideologica apriori utile a nobilitare l’opera d’arte. L’apertura diventa un gesto spontaneo, biologico, uno strumento per confrontare l’io con il contesto e rafforzarlo nella ricerca dell’intensità del sè.
Ciò che rende valida l’opera musicale, oggi, è la sua interazione per eccesso con gli elementi costitutivi e contestuali.
L’individuazione di uno stile, attraverso l’estremizzazione dei propri elementi linguistici, sembra essere la via odierna per sfuggire in modo efficace all’omologazione della soglia, per rappresentare la ricchezza e l’intensità dell’io, per produrre quello choc subitaneo, quell’eccitazione sensoriale scatenata dall’incontro con la differenza.
Tale atteggiamento, se sufficientemente individuato/individuale ed intelligibile come tale, buca la soglia normalizzata della comunicazione, creando una poetica dello stile.
Lo stile (o per meglio dire, i molti stili possibili) definito da un atteggiamento creativo per eccesso, non si manifesta affatto e necessariamente con il solo molto rumore ovvero con il molto silenzio. L’atteggiamento eccessivo consiste nella capacità di indagare a fondo la propria differenza, di renderla particolarmente evidente, rapidamente intelligibile, di costruire intorno ad essa un contesto che la presenti come tale.
Lo stile che ne scaturisce rappresenta l’anormalità dell’io.
In verità, non ci sarebbe nessuna necessità assoluta nella poetica dell’eccesso e dello stile, se la considerassimo fuori dal contesto storico: essa non è una scelta facile e a portata di mano, nè tantomeno è l’attitudine estetica da sempre necessaria. Essa diventa tale se si considerino valide quelle premesse sulla comunicazione e sulla soglia condivisa, cioè solo in seguito ad una presa di coscienza della contemporaneità. Ed in quanto necessaria, essa assume allora un atteggiamento critico nei confronti del contesto culturale.
La poetica dell’eccesso è, dunque, anche la risposta odierna alla domanda sul ruolo sociale dell’arte, inevitabilmente critico, è il luogo in cui la creatività musicale ritrova la propria più chiara ed efficace collocazione.
Essa scioglie, qui ed ora, il sentimento di inadeguatezza del linguaggio musicale odierno, segnalando e promuovendo la necessità di una discussione costante e vigile sul rapporto fra l’arte ed il contesto.
Non fu infatti la perdita della capacità critica e propulsiva in relazione al contesto, la deriva più rischiosa della ricerca musicale dell’ultimo novecento?
Non è la domanda sul ruolo, la drammatica e un pò segreta questione di senso alla quale trovare una risposta costantemente variabile?
giovanni verrando, © 2004